Le foto parlano. Questa ci mostra una parte che gioisce. Gli altri sono silenti, attoniti, in attesa di dire la propria. Forse al Referendum abrogativo che si apprestano a chiedere cinque Regioni, tra cui la Campania.
Non è codardia o mancanza di intraprendenza. Nemmeno sentirsi figli minori abituati a piangersi addosso, dipendenti dalle paghette di Stato. Oppure parassiti che sopravvivono alle spalle di chi sa laurà.
L’autonomia differenziata voluta dalla Lega e sostenuta strenuamente da Fratelli d’Italia, con Forza Italia e centristi, rischia di spaccare in due, tre, quattro, venti parti l’Italia.
Da un lato il Nord, che negli anni ha saputo ottimizzare i propri talenti, creando talvolta il mito dell’ineccepibilità di servizi e amministrazioni.
Dall’altro il Sud, anzi, Centro, Sud e Isole, che avrebbero la colpa di non aver mai fatto sul serio, godendosi “sole, mare e mandolini”. La vecchia storia della cicala e della formica.
Una fotografia riduttiva, distorta, parziale. L’operoso Nord non sarebbe stato tale se i meridionali emigrati a partire dagli anni Sessanta non avessero dato il proprio contributo. Senza scomodare Questione meridionale e gestione post-unitaria, certamente qualcosa non è andato per il verso giusto dal 1861 in poi. C’è stato uno sviluppo a corrente alternata.
La legge numero 86 del 26 giugno 2024, cosiddetta riforma Calderoli, è irta di incognite.
In questi giorni Veneto e Piemonte si affrettano a chiederne l’applicazione, almeno per quelle materie che non richiedono il finanziamento dei Lep. Ma è qui il problema: le risorse da reperire per assicurare a tutti gli italiani uguali Livelli essenziali delle prestazioni. Lo scrissi anche a febbraio del 2023, quando l’iter legislativo prese il via in Parlamento. È passato un anno.
La legge è stata promulgata. Ma i soldi per evitare che il Nord sia sempre più Nord e il Sud diventi sempre più Sud, Meloni and friends non spiegano bene come e dove reperirli.
Quando la Chiesa italiana ha provato ad esprimere una posizione sulle riforme, la risposta da Palazzo Chigi è stata puntuta. I vescovi italiani avevano solo ribadito che «il Paese non crescerà se non insieme». Secondo il governo ci dovremmo fidare e andare avanti. Raccogliere la sfida e dimostrare le nostre capacità. Certo. Non ci tireremo indietro. Ma al momento posso dubitare di chi fino a ieri ci ha chiamato in pubblico terun (e forse lo pensa ancora)?
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