Chiesa in Cammino sinodale capace di fermarsi, interrogarsi, confrontarsi, verificare e programmare. Un percorso che parte dall’iniziazione cristiana, ma non solo.
Che può dare frutti se «non lavora sulle urgenze, che vuol dire limitarsi all’oggi, quanto piuttosto è capace di immaginare delle priorità per i prossimi anni».
È molto chiaro monsignor Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della CEI, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana e segretario del Comitato nazionale del Cammino sinodale della Chiese che sono in Italia.
Il suo è un osservatorio privilegiato. Dalle restituzioni delle Chiese locali, che potuto leggere singolarmente, emerge che l’iniziazione cristiana è un tema comune a tutti.
«Dopo la prima sessione del Sinodo dei Vescovi si è rimarcato come sia un problema di tutte le singole comunità cristiane, ma che deve diventare una consapevolezza per tutti e non dei singoli», dice.
Monsignor Bulgarelli, le chiese sono vuote. Testimonianza in crisi o cambi di paradigma?
«Sono due aspetti che si aiutano a vicenda. Da una parte c’è la non sempre credibilità della comunità cristiana. Si fa fatica ad essere credibili dentro questo oggi che porta delle dinamiche inedite. Il capire e comprendere come essere testimoni credibili chiede delle assunzioni di responsabilità, dove l’abitudine purtroppo rallenta e produce la cultura degli alibi».
“Non ci hanno visti arrivare…”, ha detto una politica. Traslandolo sulla secolarizzazione, qualche avviso lo avevamo avuto. Come si gestisce questa fase?
«Abbiamo avuto molto più di qualche avviso. Alcuni cedimenti erano evidenti dalla fine degli anni Ottanta. Forse abbiamo indugiato troppo, non abbiamo soppesato chiaramente quelle che potevano essere alcune fatiche. Riflessioni già avviate con il Concilio Vaticano II, che chiedono coraggio. Il problema è che stanno arrivando anche altre questioni. Si tratta, quindi, di modificare il nostro approccio pastorale. Non lavorare sulle urgenze, che vuol dire limitarsi all’oggi, quanto piuttosto essere capaci di immaginare delle priorità per i prossimi anni».
Al Sud è ancora forte il supporto familiare. Realtà che si trasferisce anche nella fede, che però non può essere solo un fatto di tradizione?
«No, assolutamente. Le giovani famiglie molte volte si trovano direttamente coinvolte nella non comprensione di che cosa significa la declinazione del Vangelo nella vita quotidiana. Mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di aiuto, vicinanza, sostengo, che non passa attraverso gli schemi del “si è sempre fatto così”. L’Eucarestia va declinata nel quotidiano. Fate tesoro della ricchezza familiare, provando a immaginare come stare vicino alle famiglie per evitare il grande dramma della solitudine».
A proposito di Tradizione e tradizioni: tra i temi approfonditi nel nostro percorso sinodale c’è stato quello della pietà popolare. La purificazione è urgente, se non tardiva. Come si evangelizzano questi contesti?
«Innanzitutto, la pietà popolare è un’opportunità. Prima di buttarla via ci penserei un attimo. Questi sono appuntamenti che offrono ancora l’opportunità di incontrare gente. Con un esercizio plurale, c’è bisogno di tutti, si provi a trasformare senza mai dare nulla per scontato. Per cui, si può stare dentro a delle opportunità che la memoria, la storia, la tradizione di una Chiesa locale ha saputo generare».
Cammino sinodale: lei ha detto che può rappresentare una grande opportunità di partecipazione per le Chiese locali. Dai lavori italiani non sono emerse spinte e sollecitazioni rivoluzionarie. Da cosa dipende? Covano sotto la cenere?
«Dal tessuto delle Chiese locali non ci sono rivendicazioni; vuol anche dire la bellezza di un volto di Chiesa, di adulti (anziani), maturi. Questo è un aspetto da cui ripartire. Emerge chiarissimamente la necessità che il Vangelo sia capace di incontrare la vita, che è la base dell’esercizio del ministero della Chiesa. Spero davvero che si possa accogliere questa occasione per rivedere dispositivi e strumenti che rallentano, e tornare ad essere una Chiesa vera, credibile, autentica e trasparente. Già questo basterebbe per innescare dei processi diversi».
Negli incontri nocerini ha utilizzato il termine libertà. Perché è così importante?
«Perché ognuno di noi è creato libero. La bellezza del Dio nel quale noi crediamo è che ha creato la sua creatura nella possibilità di dirgli di no. È un qualcosa di assolutamente non straordinario, ma di più. Dice di un Dio che desidera amare, essere amato, e quindi di conseguenza le regole, le dinamiche sono importanti, ma devono partire da questo esercizio di libertà. È una parola che non deve spaventare perché dove c’è la fede, c’è la libertà».
Laici, clero, religiosi: un unico popolo. Il Cammino sinodale riuscirà a consolidare questo concetto o la strada resta in salita?
«Non saprei dirlo. A un momento di difficoltà ne corrisponde sempre un altro bello, liberante e positivo. Ci potrebbe aiutare il fatto che una dinamica di questo tipo non vuol dire scardinare o mettere in discussione chi deve decidere. Potrebbe essere l’occasione per poter maturare ciò che il Concilio Vaticano II diceva: l’intero popolo di Dio, nella diversità di ciò che si è, contribuisce a far crescere la tradizione apostolica. Se riusciremo ad entrare in questo spirito vorrà dire che chiunque di noi, con il proprio Battesimo, può essere un testimone credibile».
Non bisogna scoraggiarsi.
«C’è chiaramente e sicuramente la necessità di bonificare tante cose che con gli anni si sono sovrapposte, ma c’è anche la bellezza di un popolo ecclesiale, maturo, consapevole che c’è un bene più grande: la proposta del Vangelo che non può essere annichilita da cose da bottega. Speriamo possa aprirsi qualcosa di diverso».
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