«Mi hanno restituito la vita»

Luca racconta la sua esperienza nella comunità di recupero del “Don Bosco” di Napoli. Dopo anni difficili e una denuncia per violenza, lì ha ritrovato una casa, la voglia di studiare, il senso della famiglia e dell’amicizia. Iscritto all’Università, sogna una famiglia e uno stipendio che gli consenta di vivere onestamente.
La visita al “San Tarcisio” di Roma. Al centro don Fabio e alla sua destra Luca

La speranza per Luca ha le sembianze di una comunità di recupero. È tra le mura dei Salesiani di Napoli che il giovane ventitreenne residente a Nocera Inferiore, ma nato e cresciuto a piazza Cavour, ha trovato una dimensione che gli ha consentito di ritrovare la luce smarrita. Non era scontato.

L’infanzia e l’adolescenza erano state segnate da episodi di violenza e bullismo. Finì in una casa-famiglia del casertano per dispersione scolastica. L’esperienza non fu delle migliori e scappò dopo sei mesi. Il ritorno a Napoli, il precipitare della situazione e dopo un anno una denuncia per violenza domestica gli fecero risperimentare il baratro. Era il 2018 e aveva 17 anni. «I carabinieri vennero di sera e mi arrestarono. Mi portarono al centro di prima accoglienza che normalmente si fa ai Colli Aminei, però anche il “Don Bosco” era attrezzato e mi fermai lì», racconta Luca.

La punizione questa volta si presentò come provvidenza: aveva il volto dei figli di san Giovanni Bosco alla Doganella. È grazie a loro che ricomincia la salita.

Nei primi giorni di detenzione il giovane è spesso visitato dal suo parroco: don Valentino De Angelis di Santa Maria dei Miracoli a Napoli, comunità dove il ragazzo faceva il ministrante. Resta dai Salesiani insieme ad altri sette minori per un anno e mezzo, fino allo scoppio della pandemia. 

Vive il “Don Bosco” «non come una casa-famiglia, ma come “casa mia”». Tanti i rapporti nati in quei mesi. Indissolubili quelli con gli operatori. Specialmente con Cristina Gargiulo: «È come se fosse la mia seconda mamma. Quando a casa dico di andare al “Don Bosco” non dico che vado in comunità, ma che vado da Cristina. Ho girato tre comunità, ma quella dei Salesiani ha avuto qualcosa di diverso». Un ruolo importante lo ha avuto pure Diego Mango.

Per Luca la differenza è «nell’umanità. Il loro lavoro è incentrato sull’attenzione all’umano per creare un legame. Non eravamo utenti, eravamo persone». In quel periodo riprende gli studi superiori: «Seguii un corso di cucina/sala, ne proponevano anche uno di meccanica e logistica, ma io volevo diplomarmi. Così, grazie al loro aiuto nello studio, ho conseguito il titolo di perito chimico». Ma non associate questa esperienza a quella romanzata nei telefilm: «La narrazione di Mare Fuori non è la realtà. Fa sembrare tutto diverso. Chi è stato in comunità si sente quasi preso in giro».

Con il Covid-19 ha il permesso di tornare a casa. Nel frattempo, la mamma si è trasferita a Nocera Inferiore e lui la raggiunge. «Sarei voluto rimanere fino ai 21 anni, ma data la pandemia mi fecero rientrare in famiglia. Non è stato un periodo bello, anche perché a Nocera non conoscevo nessuno», confida. Si presenta anche la depressione e la difficoltà di relazionarsi con gli altri. Sente il bisogno di tornare al “Don Bosco”. Provvidenza vuole che sia bandito l’avviso del servizio civile. Ci sono dei posti anche dai Salesiani e Luca si candida. Supera le prove e per un anno si pone all’altro lato della barricata. È accanto a quei bambini difficili, tra i quali era stato annoverato solo qualche anno prima. «Davamo una mano durante i giochi e il doposcuola, nelle attività pomeridiane in oratorio, ho anche allenato una squadra di calcio», racconta. 

Alla fine dell’anno di servizio civile è con don Fabio Bellino, direttore dei Salesiani partenopei, e altri venti operatori sociali al “San Tarcisio” di Roma. «È stata l’esperienza più significativa. Don Fabio ci disse: Avete avuto questa occasione, ma non fermatevi perché può essere difficile ricominciare”. Lì maturai la scelta di iscrivermi all’Università perché quanto vissuto sulla mia pelle non fosse stato vano».

Luca (a sinistra) seduto sulla panchina mentre allena i pulcini del “Don Bosco”

Dallo scorso settembre si è iscritto a Scienze Politiche alla Federico II di Napoli. Il percorso si è presentato un poco in salita, tra ragazzi diplomati al Classico e allo Scientifico, abituati ad altri metodi di studio: «Però sto provando ad inserirmi in alcuni gruppi studenteschi per trovare una nuova dimensione. Devo insistere e insisterò».

Per il suo futuro si augura «una vita tranquilla, un buono stipendio e una famiglia». E se tra dieci anni qualcuno gli chiedesse come è stata la sua adolescenza risponde: «Bene, perché quando penso al “Don Bosco” ho solo ricordi belli, mi hanno dato gioia e speranza. Altrove mi hanno rubato il tempo, loro mi hanno restituito una vita».

Il “Don Bosco” di Napoli: 90 anni di solidarietà

Il “Don Bosco” di Napoli è una realtà dinamica e aperta al territorio che, a partire dal carisma di san Giovanni Bosco, risponde alle nuove povertà educative presenti nel capoluogo campano. 

Bracci operativi dei salesiani sono: la parrocchia, l’oratorio, i servizi educativi territoriali, i servizi residenziali, la comunità per minori stranieri, la comunità alloggio, il centro di pronta accoglienza, la formazione professionale.

L’origine della presenza Salesiana a Napoli risale allo stesso san Giovanni Bosco, perché fu la città più al Sud che visitò tra il 29 e il 31 marzo 1880. In questa occasione celebrò l’Eucaristia nella chiesa di San Giuseppe in via Medina assistito da un piccolo ministrante Peppino Brancati. Alcuni anni dopo il ragazzo andò a Valdocco e divenne il primo salesiano originario del Meridione.

L’attività di assistenza spirituale e sociale cominciò concretamente nel 1934. Nel periferico quartiere della Doganella i figli di san Giovanni Bosco iniziarono la loro attività in locali poveri e insufficienti ad accogliere le numerose masse giovanili che affluivano attorno ad essi. Vent’anni dopo, passata la tremenda bufera della guerra, nel 1954 posero mano all’attuazione del grandioso Istituto tuttora esistente.

Nel 1979 viene riconosciuto giuridicamente l’Istituto Salesiano “Ernesto Menichini” che promuove attività educative per i ragazzi a rischio. Il 21 ottobre 1988 nasceva il Centro Sociale “Don Bosco”. Nel 2022 il polo partenopeo, primo in Italia tra gli enti ecclesiastici, si è dotato della rinnovata veste giuridica di ramo del Terzo Settore dell’istituto salesiano “E. Menichini”. Nel 2024, a novant’anni dalla prima attività a Doganella, l’associazione CNOS FAP Napoli, ente salesiano accreditato per la formazione professionale, si trasforma in Fondazione.

Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts