Cresce la fascinazione degli adolescenti per i marchi di lusso e i grandi brand ne sono più che consapevoli, così le strategie di marketing si impegnano sempre più a profilare nel dettaglio i giovani consumatori e a trovare modalità di approccio nuove e più persuasive.
Il fenomeno non riguarda il mero acquisto di beni materiali, ma anche la loro esibizione attraverso piattaforme digitali che ne amplificano la portata. L’unboxing online, ad esempio, sta diventando una delle tendenze più in voga tra gli adolescenti e i giovani. Di cosa si tratta? È una pratica ideata da diversi fashion-influencer e consiste nello “scartare” in diretta i propri acquisti con tanto di scontrino alla mano. Il fenomeno è virale e basato su una narrazione consumistica della realtà, gli unboxing più apprezzati ovviamente riguardano prodotti di lusso.
Il rituale dell’unboxing non può certamente essere frutto di improvvisazione. L’influencer di turno (o aspirante tale) suggestiona i propri follower soffermandosi in primo luogo sul packaging del prodotto. Il desiderio è acceso dalle decorazioni e dalla luminescenza dell’incarto, cresce sollecitato dal rumorino del polpastrello che sfrega o tamburella sulla superficie della confezione, capitola definitivamente sul raffinatissimo dettaglio del marchio.
L’evento è multisensoriale, tesse l’attesa e in questa liturgia dell’acquisto, lo scontrino fa da contraltare: è la prova tangibile del “valore” numerico di quell’evento. L’unboxing è una pratica che solca uno spartiacque fra “poveri” e “ricchi”, tra “in” e “out”, tra chi è in categoria “premium” e chi invece è un misero sfigato.
Ci sono influencer che esplicitamente e senza alcuna remora illustrano la loro “filosofia della materia”, disprezzando senza mezzi termini tutti coloro che non hanno le possibilità di accedervi, oppure fornendo indicazioni discutibili su come migliorare il proprio stile di vita.
Tutto ciò ha dell’incredibile in una società che pare spendersi così tanto per il politically correct e che pare impegnata a sfondare il muro del pregiudizio e del “convenzionale”. Di fronte alla tentazione del lusso i princìpi miseramente svaniscono e lo scontrino trionfa. Il consumo, nello spazio di qualche minuto e con il supporto della tecnologia digitale, si trasforma in uno spettacolo che dà dipendenza.
Per molti adolescenti (ma anche per molti adulti, in verità), i marchi di lusso rappresentano molto più di un semplice prodotto: sono un simbolo di status, di appartenenza e soprattutto di identità. Attraverso l’acquisto e l’esibizione di un oggetto di lusso, i giovani cercano di comunicare chi sono o chi aspirano a essere. I prodotti di lusso, insomma, non sono solo beni materiali, ma veri e propri “passaporti” per un mondo “aspirazionale” ed esclusivo.
D’altronde se all’orizzonte aleggiano spettri inquietanti come la disoccupazione, il disagio sociale, la fragilità delle relazioni e l’ansia della performance, come non cedere al “miraggio di una vita a cinque stelle” disponibile in un click. Un sogno consolatorio e anche vagamente voyeuristico a buon mercato.
Il risultato reale, però, è un vero e proprio cortocircuito. La fame di brand esclusivi per la maggior parte dei giovani può saziarsi soltanto virtualmente, o attraverso prodotti surrogati. Così le prospettive di felicità e realizzazione personale riposte in questi obiettivi così illusori si trasformano presto in frustrazioni che si sommano al disagio esistenziale. La costruzione dell’identità dei giovani ne risulta danneggiata, in essa si sviluppa una visione distorta dei valori e delle priorità della vita. L’autostima viene misurata su parametri come il successo, la popolarità e il possesso, a scapito di una crescita personale basata sull’acquisizione di contenuti e competenze e su esperienze e relazioni autentiche.
Come contrastare questa tendenza? Difficile farlo senza un cambiamento culturale che coinvolga l’intera società e che sia in grado di dimostrare che il benessere non dipende da ciò che si possiede, ma da ciò che si è.
Silvia Rossetti
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