Fitorimediazione: piante che depurano

Un esempio è il sito di San Giuseppiello, nel comune di Giugliano in Campania.

Delle piante sono noti gli innumerevoli benefici per la vita dell’uomo e degli ecosistemi naturali; lo è meno, invece, la loro capacità di catturare le sostanze inquinanti. A partire dagli anni ’50, nel campo delle bonifiche ambientali e della depurazione, tra le tecniche applicabili è stata annoverata la fitorimediazione. Tuttavia, già nella Roma imperiale la cloaca massima veniva scaricata nelle paludi Pontine al fine di sfruttarne il potere depurante.

Il processo di fitorimediazione sfrutta diversi meccanismi, ciascuno dei quali è adatto a specifici tipi di inquinanti e condizioni ambientali. Ad esempio, la fitoestrazione utilizza piante per estrarre contaminanti dal suolo e concentrarli nei tessuti vegetali. È un approccio particolarmente efficace nel trattamento di metalli pesanti come piombo, arsenico e cadmio.

Le applicazioni spaziano dalla bonifica di siti industriali e miniere abbandonate, al trattamento di acque reflue agricole e urbane, fino al risanamento di zone umide e aree terrestri contaminate da sostanze chimiche.

Un esempio è il sito di San Giuseppiello, nel comune di Giugliano in Campania. Da discarica abusiva di fanghi di concerie ed industrie è diventato laboratorio dell’Università Federico II.

Si sperimentano le opportunità e le possibilità di restituire dignità alla terra attraverso venti mila pioppi bianchi che, con poco fabbisogno d’acqua, in 20 anni porteranno a compimento la loro missione. E ne beneficerà anche il portafogli, perché si risparmia notevolmente rispetto a tecniche di bonifica più invasive.

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