La vita del beato Fusco

La biografia del Beato Tommaso Maria Fusco, di cui oggi oggi ricorre la memoria liturgica, nel ventesimo anno della sua beatificazione.

Tommaso Maria Fusco nacque a Pagani il primo dicembre del 1831 da Antonio Fusco e Stella Giordano, fu battezzato lo stesso giorno nella parrocchia del SS.mo Corpo di Cristo.

La sua famiglia apparteneva alla borghesia medio alta del tempo, il papà era un chimico farmacista, la mamma una fanciulla di buona famiglia di Corbara, dal carattere mite e dalla raffinata educazione.

Ad accoglierlo alla nascita c’erano già tre fratellini: la primogenita Rosa, il secondogenito Raffaele, che aveva sei anni, e Teresa che di anni ne aveva appena due. In casa con loro viveva anche lo zio sacerdote don Giuseppe Fusco, fratello del capofamiglia, che sarà un riferimento importantissimo nella vita dei nipoti.

Negli anni successivi la famiglia si allarga ancora con la nascita di Maria Chiara, ultimogenita dell’agiata e timorata coppia che, oltre alla gioia della maternità e paternità, aveva sperimentato anche il dolore di diverse perdite: l’anno successivo al loro matrimonio, celebrato nel 1816, era nata Orsola, ma nel giro di un mese la bimba si spense. Stessa sorte toccò al primo bambino battezzato con il nome di Raffaele, volato in Cielo ad appena 23 giorni, il 19 aprile del 1820, e a un piccolo Tommaso nato nel 1823 il quale, dopo 45 giorni di vita, raggiunse i fratellini. Di otto figli sopravvissero solo in cinque, tra cui Raffaele che fu un ottimo sacerdote ma non vide il 27esimo compleanno.

L’infanzia trascorse serena sotto la vigile cura della mamma e lo sguardo più distante ma comunque partecipe del papà fino a quando, il 27 settembre del 1837, la terribile epidemia di colera che si abbatté sulla Campania ebbe come vittima anche Stella. Tommaso Maria aveva appena 6 anni, questo doloroso distacco lo legò indissolubilmente a Dio. Pochi anni dopo, nel 1841 perse anche il papà e insieme alle sorelline restò in casa sotto lo sguardo attento e premuroso dello zio sacerdote, mentre il fratello maggiore Raffaele era già entrato in seminario.

L’esempio di S. Alfonso Maria de’ Liguori

Il 2 agosto 1839 – Tommaso deve ancora compiere 8 anni – mentre partecipa alla solenne celebrazione in occasione della festa di canonizzazione di sant’Alfonso Maria de’ Liguori promette a se stesso: «Sarò sacerdote anche io!». Ma i suoi familiari sono poco disposti a realizzare le sue entusiastiche aspirazioni. Probabilmente la giovane età, il fatto che fosse cresciuto in un ambiente molto religioso, il timore che il suo fosse solo giovanile entusiasmo, unito alla preoccupazione di assicurare alle sorelle una guida che stesse in casa con loro, spinse lo zio sacerdote ad essere molto prudente, se non severo, nei confronti della vocazione del nipote.

Tommaso, però, stentava a capire le ragioni dello zio e meditava di realizzare comunque le proprie aspirazioni, a costo di mettere i familiari davanti al fatto compiuto.

A 15 anni restò affascinato dall’esempio di Nicola Pagano, un giovane gesuita conterraneo, futuro missionario e Vescovo nelle lontane Indie e decise di consacrarsi a Dio nella Compagnia di Gesù. Chiese di essere ammesso al noviziato, fece qualche accennò alla famiglia ma come al solito dovette fare i conti con una certa ritrosia. Così decise di aspettare in silenzio e nella preghiera l’ora di Dio. Nell’ottobre del 1846 si allontana da casa per entrare nella Compagnia di Gesù. I parenti restano allibiti, abituati a conoscerlo come un ragazzino obbediente e giudizioso. Fra le sacre mura Tommaso fu un novizio esemplare per l’esattezza con cui osservava la regola, per la prontezza con cui eseguiva gli ordini dei superiori e soprattutto per la gioia che dimostrava nel sottoporsi alle prove più rigide. Gioia minata dall’insistenza dei familiari che facevano di tutto per tirarlo fuori. Gli sforzi all’inizio caddero nel vuoto. Lo scenario cambia quando il 28 febbraio 1847 muore don Giuseppe. Tommaso, vittima dell’insistenza del fratello Raffaele, si vede dimesso dal noviziato e costretto a tornare a casa. Non rinuncia però alla sua vocazione. Prega incessantemente e con fiducia si affida alla Vergine Addolorata. Quando sembra che tutte le speranze siano andate perdute, finalmente, nel 1847, poco prima che il fratello Raffaele fosse ordinato sacerdote, si aprono per lui le porte del seminario diocesano.

Sacerdote di Cristo

Dopo 8 anni di studio e formazione è ordinato sacerdote il 22 dicembre del 1855. Da questo momento don Tommaso vivrà la sua vocazione in perpetuo e amoroso dialogo con il Signore e in ardente e gioiosa donazione ai fratelli. I più bisognosi trovano nella sua persona sicuro conforto e i cuori più tormentati nelle sue parole la pace.

La sua attenzione è anzitutto per i bambini che trova a gironzolare oziosi per le strade fra i pericoli più disparati. Per loro apre a casa sua, nel 1856, una scuola gratuita dove i “monelli” si recano con piacere perché il sacerdote ha la capacità di incantarli con la sua dolce fermezza. Ridà vita alle «Cappelle serotine», così com’era nel progetto di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, per l’istruzione religiosa dei giovani e degli adulti, si prodiga in mille modi per i più poveri, provvedendo anche alle loro necessità.

Nelle travagliate vicende politiche e sociali dell’immediato periodo post unitario, la sua attenzione fu tutta per i poveri, per gli sbandati, soprattutto per i bambini, orfani di guerre, carestie, del terremoto che sconvolse Pagani il 16 dicembre 1857 e delle due terribili alluvioni, la prima nel luglio 1869 e la seconda nell’agosto 1871, che nell’arco di un decennio afflissero l’Agro nocerino. In seguito all’uragano scatenatosi nel pomeriggio del 20 luglio 1869 a Pagani e nei paesi limitrofi, che rovinò tutte le piantagioni, fu costituito un comitato di soccorso la cui anima era don Tommaso. Nel 1871, cassiere e incitatore del nuovo comitato fu sempre don Fusco.

Il sacerdote si interessa anche della formazione delle giovani, per evitare che deviino dalla retta via le raccoglie intorno a sé nella gioia di riunioni in cui si canta alla Madonna. È egli stesso a suonare e a comporre i testi. Tante testimonianze riferiscono del suo modo gioviale di educarle alla bellezza della semplicità e del decoro.

Le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue

Dal nucleo delle Figlie di Maria usciranno le “Monache di casa”, Vergini che vivevano la loro consacrazione restando in famiglia e che don Tommaso raccolse con il nome di “Figlie del Preziosissimo Sangue” sotto un’unica regola, pubblicando per loro il Regolamento di Vita divota. Ben presto ebbe da Dio l’ispirazione di fondare una famiglia religiosa sotto il “titolo del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo” per ritrarre e riflettere la più viva immagine di quella divina Carità con cui fu sparso il Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo.

Privatamente a Scafati, nel Santuario della Madonna dei Bagni, impone a tre giovani l’abito monacale, dando loro il preciso impegno di essere nel mondo e nei confronti dei fratelli la più autentica immagine dell’Amore del Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Segno, misura e pegno di questo amore infinito di Dio Padre è il Sangue di Cristo versato per noi. Nascono così le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue, era il 6 gennaio del 1872. Nello stesso giorno dell’anno successivo, nel santuario della Madonna del Carmine detta delle Galline, di cui don Tommaso era uno dei cappellani, avviene la professione delle tre suore a cui vengono affidate sette bambine orfane scelte tra le più povere di Pagani. Presiede la celebrazione mons. Francesco Ammirante che nell’omelia, quasi spinto da un presentimento, disse al sacerdote: «Hai scelto il Preziosissimo Sangue? Ebbene, preparati a vivere un calice amaro». Quasi una profezia di quello che il Beato dovette subire in seguito.

La spiritualità incentrata sulla Carità del Sangue di Cristo lo aveva portato, nel 1862, a fondare una comunità di sacerdoti dediti alle missioni popolari: “L’apostolato Cattolico del Preziosissimo Sangue”, approvato da papa Pio IX il 30 aprile del 1868. Ma l’opera maggiormente cara al cuore del fondatore furono le Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue e le orfane che andavano sempre crescendo in numero. Acquista così l’antico convento di San Francesco di Paola dove le suore si stabiliscono fin dal primo settembre 1875 e che divenne la Casa Madre della Congregazione. Per loro scrive una regola nel 1883 e, dopo un triennio di prova, il 14 luglio del 1886 la Congregazione riceve l’approvazione diocesana.

Il calice amaro

Assieme alle lodi e alle benedizioni che da ogni parte i poveri levavano a Dio per l’opera instancabile del Beato, dei suoi missionari e delle sue suore – che nel frattempo erano aumentate di numero tanto che fu possibile, dal 1873 al 1880, la fondazione di ben 4 case subalterne alla Casa Madre, mentre dal 1880 al 1890 le fondazioni furono più di 20 – si levò anche l’immancabile calunnia.

Si apre qui un capitolo molto triste e doloroso, amarezze permesse dal Signore per perfezionarne le virtù. Tra i quattro cappellani della chiesa Matrice c’era anche don Giuseppe Pepe, che mons. Bartolomeo Mangino, nella biografia “Il Servo di Dio Canonico Tommaso. M. Fusco, Fondatore delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue” definisce «dai sentimenti ultra liberali e dal carattere aggressivo e provocatore». Don Tommaso, per evitare ogni inutile discussione, lascia l’incarico e diventa il cappellano del santuario della Madonna del Carmine detta delle Galline. Questa decisione non piace al confratello per il quale l’esempio di don Tommaso suona come un rimprovero vivente. Don Pepe finisce per citare cinque sacerdoti, tra cui don Fusco, in tribunale. Richiamato dal vescovo Ammirante e punito con la sospensione a divinis per 10 giorni, don Giuseppe Pepe attribuì la colpa a don Tommaso contro il quale sfogò tutta la sua rabbia con una pubblicazione.

Dopo lo sfogo letterario, l’astio di don Giuseppe non si placò ma divenne sempre più rovente e attendeva con ansia l’occasione per infierire ancora. Opportunità che arrivò servendosi della debolezza di un giovane sacerdote senza vocazione: don Salvatore Tortora, appartenente ad una delle famiglie più facoltose del paese, approfittando dell’assenza di don Tommaso e della sorella Chiarina, abusò della donna che fin da giovinetta il sacerdote aveva accolto in casa. Additato come il colpevole, don Tommaso fu accusato di essere un prete indegno. La primavera del 1880 gli riservò amare sorprese: don Giuseppe iniziò a soffiare sul fuoco e la sera del Vespro del 30 aprile 1880, nella chiesa Matrice gremita di fedeli per l’inizio del mese dedicato a Maria, risuonò la terribile accusa.

La morte e la beatificazione

Il Beato visse con ammirevole dignità la prova più dura di tutta la sua vita, dalla quale, per ammissione dello stesso colpevole, fu scagionato quando già la sua salute fisica andava inesorabilmente declinando a causa dei tanti dispiaceri.

Consumato da una patologia epatica, ad appena 59 anni, fra il compianto delle sue Figlie spirituali, delle orfane, dei sacerdoti compagni di missione, don Tommaso Maria Fusco volava in Cielo la sera del 24 febbraio del 1891. I funerali furono un trionfo popolare.

Successivamente si invocò un processo che lo scagionasse pubblicamente e formalmente dall’accusa lanciata nel 1880. Dopo undici sessioni che videro alternarsi nove testimoni, il vescovo mons. Teodorico De Angelis proclamò la sua innocenza.

Dopo la morte, la devozione del popolo di Pagani e di ovunque sia giunta la sua infaticabile missione spinse la Chiesa di Nocera Inferiore-Sarno ad aprire il processo sulle virtù eroiche e sulla santità di don Tommaso Maria. Il 7 ottobre del 2001, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo proclama beato indicandolo a tutta la Chiesa come esempio di fede e carità eroica.

Antonietta Abete

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